La nostra storia

"E c'è un'alba , simile a mille altre che hai visto nel corso della tua vita, con la luce che è grigia e lentamente si schiara, e si colora, dapprima è celeste, non rosa, è poi rosa, quindi in un baleno , da dietro i poggi , sbuca il sole, e e il cielo , investito da tanta luce, sembra scattare più in alto. Tutto quanto accade cotesto giorno non potrà mai trapassare dalla memoria. È il giorno in cui , a nostra insaputa , la nostra vita si volta come sul palmo il dorso della mano. Quel lunedì, metello si avviava verso il cantiere , era l'alba e atteaversava il ponte sul Mugnone, all'altezza del Romito; istintivamente si voltò, e questa fu la sua impressione : come se, spuntando il sole , qualcosa che fino allora tratteneva il cielo ne lo avesse liberato e precipitasse , zavorra di luce diciamo sulla terra . Un istante, riprese il cammino e dopo qualche passo se n'era dimenticato ."
Il muratore Metello, indimenticabile personaggio di uno dei massimi scrittori italiani e fiorentini, Vasco Pratolini, che si avvia verso la fine del secolo, siamo nel 1897 , verso uno dei nuovi cantieri che sono sorti - e stanno sorgendo - in quella parte del territorio che fino ad allora era rimasto marginale, più campagna che città di un territorio che era stato per secoli orgogliosamente chiuso dentro la sua cinta di mura, e che cominciava ad espandersi verso il suo nord-ovest, vede così la sua firenze agli albori delle lotte operaie voltandosi mentre ha iniziato una strada anche simbolicamente nuova. Di là dal Mugnone, sopra la firenze rinascimentale chiusa in se stessa, lontana sulla quale, in un cammino nuovo che porta Metello, simbolo dei "nuovi" lavoratori, verso la periferia, quelle "terre nuove" che sono all'estrema periferia della città, Rifredi, Careggi, le panche, simbolo anche geografico di tempi diversi per le classi lavoratrici cittadine, si precipita, altrettanto simbolicamente, una "zavorra di luce " . E dice lo scrittore, "è il giorno in cui , a nostra la nostra vita si volta come si volta sul palmo il dorso della mano"
Un percorso che inizia dalla lunga ( allora , non oggi ) strada che parte dal Romito per finire in quella ( allora , non oggi ) campagna che inizia a urbanizzarsi ed indrustializzarsi e , da paese appiccicato alla città diventerà territorio civico senza soluzione di continuità con la madre-matrigna chiusa fra i viali di circonvallazione, e sarà protagonista di molte delle più importanti vicende della storia fiorentina, e talvolta anche nazionale, del secolo passato.
Quella  strada è una strada che Metello e i lavoratori suoi compagni non  percorreranno solo per contribuire con la loro attività a costruire un'altra città che è il prolungamento xi una città più antica, più famosa, controversa nelle vicende nel corso dei secoli, e che da non molto ha cessato di essere la capitale, sia pure provvisoria, d'Italia. È un strada che porta anche su quelle colline dove i muratori ( nel romanzo di Pratolini anche  matafora dei "ccstruttori" oltre che dei primi proletari che cercano di associarsi come categoria di lavoratori ) si ritrovano per discutere i loro problemi, la loro volontà di emancipazione, la loro - senza esserne consapevoli, almeno in parte - partecipazione alla storia. E quella zona, alle spalle delle Panche e di Careggi, e insieme alle Panche e Rifredi e le colline che vi stanno a corona, è non solo una "loro" zona, dove loro tirano su le case anche quella dove si va per quei pochi svaghi, passeggiate all'aria aperta, colazioni a sacco, che sono consentiti dalle loro condizioni economiche e sociali. Oppure dove si può  fare  all'amore. E dove meglio si può mascherare alle autorità una sospetta, e ovviamente non autorizzata, riunione "sindacale".
"Ora la strada diventava obbligata, chiusa dagli alti muri ai due lati, lasciava sulla sinistra la Villa Medicia e al di là di Careggi, si inoltrava verso il Poggio. La risalivano a due a tre, distanziati  i muratori. [...]
Monterivecchi era li, uguale, e li aspettava. Forse qualche  faggio si era seccato, o l'avevano tagliato, altri ne erano cresciuti,  l'erba dei prati non era più  la stessa, ma uguale, e così i sassi, gli arbusti, i papaveri ai bordi della carreggiata, e il frinire delle cicale, come in una domenica di tanti anni prima, quando ci davano appartamento Betto e Caco, Quinto Pallesi e il padre di Mirando e Fioravanti il tornitore e le loro donne amiche, cosa c'era di cambiato? Sulle colline che circondano la città, negli stessi prati e boschi dove vent'anni e trent'anni  prima anarchici  e internazionalisti si riunivano a gruppi, con chitarre vino e soprassata, fingendo innocenti gite domenicali per distrarre l'occhio della polizia che ovunque  li seguiva, convenivano ora i muratori per discutere i loro problemi.  [...]
E sotto il sole che faceva risplendere tutt'oro la lanterna di Santa Maria del Fiore, c'era di nuovo che siccome la sede della Camera del Lavoro non bastava per ospitarli riuniti i Assemblea, i muratori di firenze, che sarebbero s esi in sciopero l'indomani, raggiungevano il poggio di Monterivecchi, e così giunti, facevano una specie di appello e cominciava la discussione. Colui che aveva la parola saliva in alto sul pendio, gli altri ascoltavano seduti o in piedi, al riparo dei faggi, fin sul greto del Terzolle che scendeva a valle, un rivolo appena, per buttarsi nel Mugnone. C'era a momenti, una gran pace, il verde lasciava scampo alla calura, si levava una voce voce e si zittivano le cicale. Qualcuno, il fiasco non l'aveva dimenticato, e ora faceva il giro, ora lo si riempiva d'acqua alla sorgente che c'era a pie' del dirupo, e ancne l'acqua serviva, seppure non gli si facesse la stessa festa e lo stesso  onore.la città era lontanissima, sprofondata al di sotto della carreggiata che un muricciolo proteggeva. Ed essendo mattina, essi non  disturbavano, nonché l'ordine pubblico, nemmeno  le coppie d'innamorati, che non c'erano. La polizia o i soldati non  avevano motivo d'intervenire. Erano dei muratori che si ritrovavano, il mattino della domenica, e parlavano dei Santi Padri, qualche prato più sopra, quel gruppo di seminaristi, e delle loro città, dei loro paesi e delle loro case le reclute che bivaccavano ora sul campo del poligono, li vicino.
Iniziava in quel tempo con quelle riunioni, in una campagna che tendeva ad esserlo sempre  meno, anche se Rifredi e le Panche rimaranno ancora per molto tempo una parte urbana che cresceva intervallata da poderi, e nonostante  la zona stesse diventando  la più  industriale  della città - o forse l'unica -, e anche in conseguenza di questo i cascinali e i campi  ( ma insieme ai quali vi erano sempre state le ville storiche e nobiliari ) lasciassero progressivamente sempre sempre più terreno alle case per  chi andava o sarebbe andato a lavorare  alla Galileo o alla Pignone o nelle piccole aziende artigiane  che stavano insediandosi, cominciava una storia ed un insieme di vicende che niente più avevano a vedere, da una parte, con quello che la storia di quel tratto di confine fra il ponte di Rifredi e Castello era stato per  lunghi secoli. E dall'altra parte manterrà insieme e invece ben salde quelle radici secolari, e terra di confine - in vari modi e vari tempi - lo rimarrà sempre, anche  quando si sarà completata la sua saldatura con il resto del territorio della città.
I muratori di Pratolini  ( uno scrittore che avvolgeva le vicende dek suoi romanzi nella storia vera, sulla quale si documentava puntigliosamente, e lo più  avanti anche con "la costanza della ragione", dove dopo cinquant'anni il muratore Metello diventa l'operaio della Galileo bruno ) stavano inaugurando una nuova era legata a quella zona, una era che si completerà, per quanto riguarda le aggregazioni operaie, i luoghi  e i  tempi del loro ritrovarsi, poco più di cinquant'anni dopo quando, poco sotto allo stesso spazio di quelle loro prime riunioni all'aperto, i loro nipoti faranno nascere ed entreranno in possesso fisicamente di spazi dentro i quali parlare e fare politica, fare cultura, svagarsi fra simili per condizioni economiche e sociali, insomma quel "circolo ricreativo delle panche" che sarà, allora come oggi, " Il Campino ".

Naturalmente la storia di Rifredi - le panche non  inizia con le vicende dei muratori di Pratolini. E non  è  nemmeno la storia di una qualsiasi zona anonima, come spesso è successo anche  nei dintorni di Firenze, che via via si è  urbanizzata ( spesso fortemente urbanizzata ) nel corso del tempo fino a saldarsi con la parte più  antica della città. Questa zona, antica lo è  sempre stata, anche se defilata rispetto a quello che nel medioevo e nel Rinascimento era il centro  pulsante di Firenze.
Basterà ricordare le ville medicee di Castello e, soprattutto di Careggi, dove  morì anche Lorenzo il Magnifico, ma non  solo gli splendidi abitati dei Medici: moltre altre famiglie famiglie "bene" del periodo della maggiore ricchezza mercantile fiorentina conoscevano bene questa splendida parte della città che non era città pur essendo vicinissima, i boschi, i campi,il dolce alzarsi delle colline fra le quali scorreva un torrente fresco e tranquillo  ( ma in certi periodi traditore quanto il confratello maggiore  Arno ) il Terzolle.
perciò una storia che viene da lontano ed è andata lontano. Alcuni faranno addirittura risalire l'origine di rifredi ad epoca pre-romana, longobarda. E che il nome derivi da Rio di Ofrid, cioè il Terzolle  (rio) e le terre intorno appartenute ad un signore longobardo che si chiamava appunto  Ofrid o Fredi.
Ma esistono anche altri documenti posteriori, che menzionano, nel 1124, il territorio come Rio Frido; da qui Rio freddo ( sempre il Terzolle, naturalmente ), e quindi Rifredi.
Quanto al fatto che il terzolle si meritasse l'appellativo di fiume o torrente (rio) "freddo", oggi rimane difficile crederci: a guardarlo dalle spallette del ponticino di via Caccini (che una volta era di legno e si chiamava "ponte del rotondino"), o da quello di piazza Dalmazia oggi fa solo - come molti dei torrenti fiorentini, del resto - l'impressione di un rigagnolo, o poco più, giallastro che faticosamente tenta di scendere a  valle. Ma in altre, lontane ma anche non troppo lontane, epoche, è assai probabile che il terzolle, o rio freddo che dir si voglia, fosse un robusto fiumicello che scorreva con giovanile ardore a buttarsi nel Mugnone e poi, con questo, dentro il padre arno. Però Rio freddo ma anche terzolle, e questo era il nome con il quale i romani che in queste erano puntigliosi, identificavano la zona: il terzo miglio da Firenze della Cassia proprio  dove il torrente è attraversato dal ponte. Così come Sesto Fiorentino  ( il proseguimento di quella strada ) è esattamente, "ad sexstum milium".
Il borgo che stava intorno a quel ponte e a quel fiume, poche case, non poteva che chiamarsi, come si chiamò, Ponte a Rifredi, e naturalmente, data la sua  posizione, non poteva che subire nel corso delle continue scorrerie dei nemici dei fiorentini che tentavano di avvicinarsi alle mura fortificate della città, aggressioni sanguinose. Tanto per citarne uno Castruccio Castracani, capitano di ventura capo dei ghibellini toscani, che nell'ottobre del 1325 saccheggio', devasto', incendio'e quant'altro era in uso dei gentiluomini di quell'epoca nell'area fra Montughi, Careggi, Rifredi, arrivando fino alla porta a San Gallo.
È bene subito precisare, che se i "panchigiani" tengono e giustamente ad una loro specifica identità  ( che, peraltro è data soprattutto, per i più anziani, ad un radicarsi della memoria ed un "vissuto" che è di un microcosmo che aveva elementi di vita ed abitudini per certi aspetti autonomi anche rispetto a luoghi vicini o addirittura contigui in termini di poche centinaia di metri, ma che non presentava, ovviamente, differenze sostanziali da un punto di vista antropologicamente culturale e sociale od economico ) che Rifredi  e Le Panche sono un unico ambito, che poteva essere in altri tempi diviso e parallelo  ( la cassia diventa via Reginaldo Giulini e via delle Panche )con un primo, sia pur ridotto agglomerato urbano gravante su Rifredi ed un digradare sempre più ampio nella prosecuzione di via delle Panche verso Castello di campi e coltivazioni, ma che assume, fin dai primi anni del secolo scorso, una identità comune sempre più stretta.
Le vicende delle fabbriche rifredine, Officine galileo in primis, e le vicende storiche della zona, fascismo e resistenza per stare agli avvenimenti più vicini, si intrecciano in modi inestricabili fra la Rifredi propriamente detta  (volendo fare un po ' una forzatura ) quella per intendersi fra piazza Dalmazia e la prima parte del viale Morgagni, e Le Panche, la via con quel nome, Careggi, e le strade intorno fino alle Tre Pietre.
È anche vero che le microstorie fanno parte di un quadro più grande che non può mettere in un calderone indistinto anche le memorie minute, ed ogni strada, ogni mattone verrebbe da dire, ha un qualcosa da raccontare che è diverso ed è un completamento di altre che finiscono per fornire un insieme che serva a capire la dinamica degli avvenimenti storici nel loro complesso,. In questo senso il "il Campino" è insieme un aspetto a sé della zona ( e di firenze ) e nello stesso tempo un prolungamento ed un presidio avanzato della Società di Muto Soccorso di Rifredi.
La Galileo non significava solo gli stabilimenti di Rifredi : i suoi operai vivevano fra qui, viale Morgagni e via Vittorio Emanuele II, dove lavoravano, e le Panche dove la maggior parte di loro abitava. Ed abitare, a quel tempo, non era solo il "buongiorno - buonasera" dei moderni condomini.
Dunque una storia molto spesso comune e impossibile da scindere in maniera netta.
Tutta via anche le Panche hanno, fra le altre, una specificità storica, nel senso del " monumento " di grande rilievo. La Pieve di Santo Stefano in Pane, che risale addirittura al X secolo, o addirittura, secondo alcuni storici, al Vl secolo, come parte di un antichissimo cimitero  cristiano.
La chiesa conserva ancora opere d'arte, resti di affreschi trecenteschi, opere di Giovanni della Robbia, un tabernacolo di Taddeo Gaddi e parte della costruzione antica.la fondazione della sua  Misericordia risale al 1280.
La Pieve di Santo  Stefano in Pane era e rimarrà a lungo, come sempre nei periodi storici antichi, il centro della zona, il referente civile e religioso fra Rifredi e Le panche. Tanto è vero che il patronato della chiesa fu della potente famiglia  dei Tornabuoni, per poi passare al l'altrettanto potente famiglia dei Pandolfini.
Sull'origine del nome delle Panche le versioni non sono né certe né concordi, se infatti il Pecchioli lo attribuisce al nome che avevano le basi di pietra che sostengono gli argini dei fiumi, e quindi a protezione dei frequenti straripamenti del Terzolle, lo fa derivare dal termine longobardo ( gli originali proprietari della zona ) panka, è anche vero che questo termine, secondo il dizionario Devoto-Oli, per i longobardi indicava la parte della staffa dove si posava il piede. Interpretazioni filologiche del longobardo a parte può anche darsi che il Pecchioli abbia ragione, ma potrebbe anche darsi- è una nostra ipotesi che va presa , ovviamente  con il beneficio d'inventario - che il termine sia molto  più  recente, e volesse identificare secondo modi di dire "laici" l'unico luogo di aggregazione del territorio: la chiesa di Santo Stefano in Pane, appunto, e perciò le panche della chiesa dove i cittadini si ritrovavano per le funzioni religiose  ( ma forse, poi, non solo per pregare )
Comunque sia la nobiltà ancestrale del territorio, non semplice campagna come abbiamo  detto, è  testimoniato dalle  presenze di ville e palazzotti - alcuni dei quali scomparsi in seguito alle mutazioni urbanistiche che le Panche come Rifredi hanno subito non solo negli ultimi secoli, ma anche più  recentemente - che appartennero a famiglie importanti, in qualche caso molto importanti, di Firenze. I Guicciardini, ad esempio, ma anche i Pucci, i Soderini. E, poco dopo l'inizio di via delle Gore ( dove erano in funzione dei mulini messi in funzione dall'acqua del Terzolle  ), la villa delle Filippine che fu di proprietà, fino all'inizio del 1500, nientemeno che dei Brunelleschi, e che poi diventò, quando i Brunelleschi la vendettero, una osteria fino al 1681 quando la aquistarono i Vettori  (altro nome di rilievo nella storia fiorentina ) che fecero tornare la villa un'abitazione.
Bisognerà infine anche ricordare la villa I Pini, che ebbe per penultimo proprietario  ( prima dell'industriale Passigli )il grande tenore Enrico Caruso.

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